Paesaggi, ritratti, deserti silenziosi, spettacolari naufragi ed episodi della Passione. I grandi temi della pittura rivivono, inquieti, nel Convento del Carmine di Marsala con le opere di Francesco De Grandi per la mostra Archetipi della pittura inquieta, a cura di Sergio Troisi, in programma dal 6 luglio al 26 ottobre , vernissage domenica 6 luglio alle ore 18.30 . Un viaggio visionario, drammatico e pieno di interrogativi quello dell’artista palermitano, indicato come uno degli autori più coerenti e originali nel panorama dell’arte italiana contemporanea – attraverso tutti i topos della pittura dove l’inquietudine è stata la cifra predominante.
Quaranta le opere in mostra nella Pinacoteca di Marsala – dipinti, alcuni di grandi dimensioni, e opere su carta – per esplorare l’universo interiore e creativo di De Grandi. Spiega Troisi: “Sembrano paesaggi tradizionali, legati come sono all’iconografia ottocentesca. Ma al loro interno c’è sempre un elemento di disorientamento che spiazza lo spettatore e lo lascia in un limbo di domande. La natura, soprattutto, diventa un elemento di allarme per De Grandi, e per noi spettatori, per via di quelle atmosfere post-atomiche rese dal suo particolare modo di dipingere, di stendere la materia, il colore, di rendere la luce. Per chi osserva è una vera ‘catastrofe dello sguardo’: una vertigine verso un mondo che crede di conoscere e invece non riconosce più, per via di certi elementi di disturbo che alterano l’iconografia del soggetto. Con De Grandi siamo dinanzi a una dimensione fortemente contemporanea della pittura: e questo diventa esplicito nei naufragi, con la loro grande drammaticità: sia quelli di ieri, sia quelli di oggi legati come sono alla quotidiana cronaca degli sbarchi dei migranti. Filo conduttore dell’esposizione di Marsala – conclude il curatore – è sempre la capacità di ritrovare in queste immagini-archetipi il loro intatto significato simbolico attraverso la specificità irriducibile della pittura, della sua pratica esecutiva e dei suoi materiali: il colore, i pastelli, il disegno”.
In una conversazione tra l’artista e il curatore racchiusa nel catalogo dedicato alla mostra, De Grandi nel rivelare come quella della pittura sia una “pratica quotidiana, un mezzo di elevazione spirituale, un esercizio monastico”, riferisce del tormento che ha preceduto e accompagnato questo ciclo. “Pittore e per di più ‘passatista’”, ironizza De Grandi, che lo scorso anno è pure stato protagonista di un evento collaterale della Biennale di Venezia. “Ho dovuto fare un lungo percorso interiore – spiega – per riuscire a gestire il terrore dell’essere fuori strada, fuori dalla “contemporaneità” e farmi accettare alla bella società dell’arte del XXI secolo che mi guardava con sospetto. Poi mi sono arreso: ho incontrato i Wu Ming (lett. “senza nome”, inteso come tributo degli artisti alla dissidenza e al rifiuto della notorietà a tutti i costi) e ritrovato il piacere di lavorare in quella sottilissima e pericolosa linea che caratterizza gli “oggetti pittorici non identificati”. Guardo ancora con particolare attenzione, emozionata e amorevole, alla cultura del popolo, del misticismo, della follia, dello sguardo puro e innocente. E riconosco che l’uso delle immagini è ormai un’ossessione. Il web ne ha poi aumentato esponenzialmente il serbatoio: milioni di dati con naufragi, ex voto, pitture marinare, foto d’epoca, immagini di reportage, barconi di immigrati”.
Alla mostra è dedicato un catalogo (Due Punti Edizioni, Palermo) con il saggio critico del curatore, Sergio Troisi, e un testo di Federico Lupo, artista, che descrive l’arte di De Grandi come un “realismo imperfetto, lontano dall’accezione programmatica à la Courbet, squarciato da fluorescenti verdi di cadmio ed iperuranici bianchi perlacei. Storie d’appendice – di Cristi e barboni, nani e vascelli, di cani, di rami, di foglie – votate all’assoluto con la tensione discreta tipica delle piccole cose, quanto più piccole tanto più vicine alla realtà”.