Il giardino dei ciliegi apre il ricco cartellone della stagione 2014-2015 del Teatro Stabile di Catania, una nuova coproduzione del capolavoro di Cechov in prima nazionale il 21 novembre alle ore 20.45, alla sala Verga di Catania, dove sarà in scena fino al 7 dicembre.
Giuseppe Dipasquale, regista dello spettacolo e direttore dello Stabile, si avvale di un cast di alta qualità. Antonio Fiorentino sigla la scenografia, Elena Mannini i costumi, Germano Mazzocchetti le musiche, Donatella Capraro i movimenti di scena, Franco Buzzanca le luci. Non mancheranno i giochi di prestigio della festa del terzo atto, predisposti dall’ illusionista Salvo Testa, in arte Raptus.
Sul palcoscenico nomi di spicco come Magda Mercatali, Pippo Pattavina, Guia Jelo, Gian Paolo Poddighe, Italo Dall’Orto, Alessandra Costanzo, Angelo Tosto, Matilde Piana, e ancora Camillo Mascolino, Aldo Toscano, Annalisa Canfora, Cesare Biondolillo, Alessandro Giorgianni. Al loro fianco gli allievi del IV anno della Scuola d’Arte drammatica del Teatro Stabile di Catania, intitolata ad Umberto Spadaro: quattordici giovani talenti che rispondono ai nomi di Roberta Andronico, Michele Arcidiacono, Ludovica Calabrese, Pietro Casano, Marta Cirello, Lorenza Denaro, Azzurra Drago, Federico Fiorenza, Luciano Fioretto, Valeria La Bua, Vincenzo Laurella, Graziana Lo Brutto, Gaia Lo Vecchio, Luigi Nicotra.
Pluripremiato metteur en scene e drammaturgo, Giuseppe Dipasquale firma anche la traduzione e l’adattamento: «Čechov – sottolinea nelle note di regia – sceglie di non mostrare mai il giardino, ma di farlo ‘immaginare’; di non portarlo mai sulla scena ma lasciarlo dietro, o lì in fondo alla fine di una lunga fila di pioppi alti e neri. Il giardino è sempre lì, segnale presente e costante, fuori dalla finestra; e si inviva nel ‘discorso’ prendendo a pretesto gli ‘scatti semantici’ dei personaggi, che fluttuano con instancabile mobilità per tutto l’intreccio della commedia».
Simbolo della trascorsa ricchezza, il podere andrebbe lottizzato e venduto per sfuggire all’asta incombente, mentre si configura il crollo della vecchia classe sociale dominante e l’affermarsi di quella emergente: un momento di passaggio che, come in un limbo sospeso, fa lievitare attorno al giardino ricordi e aspettative, paure e sogni, ma anche inedia e indifferenza. Il regista spiega come Čechov sviluppa questo meccanismo che mette i vari personaggi “visibili” in rapporto con i ciliegi sempre fuori scena: «Due doppie coordinate si scontrano: lo spazio di ieri contro quello di oggi; stesse contrapposte posizioni assumeranno i personaggi. Per Gaev e Ljuba quel giardino vuol dire un passato pieno di ricordi, pur anche patetici, ma ricordi. Il passato è dietro e deve rimanere come è sempre stato, con le sue cose, legato ai suoi oggetti. Ma il giardino, e Lopachin ne è l’incarnazione più vistosa e gelida, fa parte di un presente, e a questo ora bisogna pensare. Nel secondo atto, un evidente contrasto viene a crearsi anche tra il contadino e l’intellettuale. Qui sono due realtà a contrapporsi, sono due forze tese verso opposte mete a creare dialettica: Trofimof con i suoi sogni umanitari, con considerazioni sul lavoro dell’uomo come fosse il principio dell’esistenza di Dio, si scontra con la concretezza di Lopachin che il lavoro lo fa, lo ‘tocca’, non lo pensa».
Infine quei tronchi così saldi cedono alle scuri. Il giardino, il protagonista invisibile, soccombe. «Il quarto atto – conclude Dipasquale – è l’atto dell’abbandono. Tutto può ripartire se tutto torna al punto di partenza. Ljuba, come Gaev, Varja e gli altri non hanno più ragione di occupare quello spazio che non gli appartiene, essi hanno progressivamente perso il loro passato che era la “condicio sine qua non” perché il giardino, ovvero lo spazio vitale di tutto il podere, potesse essere accettato persino in altra forma. Ma altra forma (ovvero ‘lotti per villini’), significava non più passato, ma presente, sinanche futuro».