Andrà in scena dal 15 al 27 maggio al Teatro Ambasciatori, la nuova produzione del Teatro Stabile di Catania Catania “Leonilde – Storia eccezionale di una donna normale” di Sergio Claudio Perroni, tratto dall’omonimo testo edito da Bompiani con la regia Roberto Andò.
Mezzo secolo a Montecitorio, la missione di tutta una vita, iniziata a soli 26 anni nella “Commissione dei 75” che diede vita alla Costituzione. Sarà la prima donna a salire sullo scranno di Presidente della Camera e a restarci, altro primato insuperato, per tre legislature. La sua passione politica e umana è divampata in quei corridoi, dove ha combattuto mille battaglie e incontrato l’uomo del destino. Con Leonilde. Con Storia eccezionale di una donna normale, atto unico di Sergio Claudio Perroni, il Teatro Stabile di Catania rende omaggio a Nilde Iotti . Il raffinato allestimento di gusto kantoriano è firmato dal regista Roberto Andò, Giovanni Carluccio per le scene e i costumi, Marco Betta per le musiche, Franco Buzzanca per le luci. Nello spettacolo in scena a Catania al Teatro Ambasciatori dal 15 al 27 maggio, l’affilata penna di Perroni costruisce un ampio monologo, tratto dall’omonimo suo testo edito da Bompiani. Sola in scena, Michela Cescon incarna la testimonianza di una moderna eroina, simbolo dell’emancipazione femminile, autorevole esempio di quella caratura politica che oggi fatica a trovare eredi. Ripercorrendo la propria esistenza, Leonilde rievoca tappe cruciali del Novecento, i temi fondanti della nostra contemporaneità, dal Fascismo alla Seconda Guerra Mondiale, dalla Resistenza alla nascita della Repubblica, dalla Costituzione alla conquista dei diritti delle donne. La produzione si inserisce a pieno titolo nel cartellone “Donne, l’altra metà del cielo”, che il direttore dello Stabile Giuseppe Dipasquale ha dedicato all’universo femminile. Presentato in anteprima con vivo successo nel 2011 al Festival di Spoleto, nell’ambito delle iniziative dedicate al centocinquantenario dell’Unità d’Italia, lo spettacolo disegna la parabola di una personalità femminile determinata e risoluta, per quasi vent’anni compagna di Palmiro Togliatti, legame che diviene pubblico nel 1948, quando il politico rischia la vita in un attentato. Per lei il leader comunista si separa dalla moglie partigiana: decisione osteggiata dagli stessi vertici del partito, ma che la coppia consolida con l’affiliazione della piccola Marisa, orfana e privata pure della sorella, morta insieme ad altri operai in uno scontro con le forze dell’ordine. In un’Italia ancora bigotta, Nilde Iotti rivela un’elevata statura morale e intellettuale che la induce ad anteporre i sentimenti al perbenismo.
Note d’autore
Mi ha sempre affascinato la tempra drammaturgica di Nilde Iotti, l’agguerrita soavità con cui, tra la fine del fascismo e la morte di Togliatti, questa “regina plebea” seppe reagire alle invidie e alle insidie di una corte che non le perdonava i tanti successi, primo fra tutti quello di essere amata dal capo del PCI. Tenace, incrollabile e “sempre da sola”, Leonilde rispose colpo su colpo con altri successi ancora, per sé e per il proprio popolo, fino all’incoronazione in Montecitorio. Una vita densa di passioni non solo politiche, di intrighi, rinunce, conquiste e sentimenti, strettamente intrecciata – e a volte perfettamente coincidente – con i drammi, le conquiste e le contraddizioni dell’Italia di quegli anni. “Leonilde? Sembra un nome di battaglia”, le dice un partigiano, incredulo che sia il suo nome vero. Ma è la Iotti stessa a sembrare una figura “di battaglia”: una di quelle eroine shakespeariane larghe di spalle e grandi di cuore che si sobbarcano gli atti quando nei maschi difettano e amministrano le emozioni quando nei maschi non vanno oltre la parola. Shakespeariana, dunque abitante di un tempo universale: spostate avanti o indietro le lancette dei secoli, quello che ci racconta è sempre l’oggi. E Leonilde ce lo racconta aprendo inavvertitamente spiragli su una storia più ampia di quella che crede di ricordare, con luci e ombre diverse da quelle che pensa di delineare: scorci d’anima che sono squarci, prospettive che sono punti di fuga, radiosa ufficialità da cui trapela dolente intimità. La vita, insomma, di chi l’abbia intrecciata a un ruolo e non riesca sempre a distinguere quale dei due sia funzione dell’altro.
Sergio Claudio Perroni
Note di regia
E’ raro che nella drammaturgia teatrale italiana figurino personaggi politici. In Leonilde, invece, l’autore ci lascia addirittura ascoltare la voce di Nilde Iotti, consegnandoci il fantasma di una biografia esemplare, dove vita e politica sembrano illusoriamente coincidere, persino troppo. Assistiamo dunque a una celebrazione del prestigio politico come esperienza, in cui il fascino teatrale – ciò che permette a un’attrice, al suo volto illuminato, di inseguire il senso di una vita rivolgendosi alla nostra coscienza di spettatori dissimulati nel buio – è esclusivamente affidato alla narrazione, in quanto testimonianza diretta dell’autorità del vivere ovvero dell’esperienza, quel grumo di vita che matura nella guerra, nella fame, attraverso la politica, l’amore, la lotta per dare diritti e dignità alle donne. Cos’è l’autorità del vivere? Cosa conferisce prestigio alla vita? E cos’è l’esperienza? E’ stato Giorgio Agamben a mostrare come l’esperienza abbia sino a un certo momento trovato il suo correlato in quell’autorevolezza che si esprime nella parola e nel racconto. Ma oggi il mondo vive di inesperienza, e nessuno accetterebbe un’autorità il cui unico titolo di legittimazione fosse l’esperienza. E dunque? Sergio Claudio Perroni è uno scrittore attratto dalla traccia biografica, dal nascosto che bracca ogni vita, dall’evanescenza che, a posteriori, siglerà la vera autorevolezza di quella vita. La biografia della Jotti è restituita dall’autore al rigore essenziale di una nitida partitura vocale, nella cui filigrana appare il ritratto novecentesco della politica, quando a mitigare le sue passioni, le sue furie, le sue durezze, non potevano essere convocati gli improbabili surrogati che oggi sono intorno a noi. Perroni si è messo in ascolto della voce di Nilde Jotti, inseguendo il pieno e il vuoto di un’esistenza interamente consacrata alla politica, e così facendo ci invita a celebrare una sorta di solenne esequie della politica in Italia attraverso uno dei suoi più alti emblemi. Non si potrebbe evocare meglio il vuoto lasciato da una grande generazione di italiani, quelli usciti dal fascismo e dalla guerra, quelli della rinascita e della Costituzione, quelli che ci sono stati madri e padri. Certo è che ascoltando la voce di Leonilde si è presi da un forte sgomento. Come essere all’altezza di quell’energia, di quella semplicità? Dopo di loro, cosa si è reciso per sempre, e perché? Con Leonilde Sergio Claudio Perroni ci consegna la biografia come “gioco scenico” alla Max Frisch, nel punto non emendabile in cui ogni fallimento è anche una possibile vittoria. Politica (e teatro) in bilico tra anima e forma, tra vita e morte, tra verità e menzogna.
Roberto Andò