Il Teatro Stabile di Catania presenta una nuova produzione tratta da Cervantes “Il teatrino delle meraviglie”: un inno alla tolleranza che sceglie il surrealismo. Testo,regia,scene e costumi di Roberto Laganà; con Mimmo Mignemi e Fulvio D’Angelo
Un inno alla tolleranza che sceglie il puro surrealismo, un’illusione paradossale che anticipa di secoli il teatro dell’assurdo. È Il teatrino delle meraviglie di Cervantes, l’autore del romanzo “Don Chisciotte della Mancia”. Il nuovo allestimento del Teatro Stabile di Catania diventa un’occasione rara per un’incursione nella drammaturgia dell’autore iberico, qui riproposta nella rivisitazione di Roberto Laganà che firma testo, regia, scene e costumi.
Foto di A. ParrinelloPer il rilievo artistico e culturale, il progetto – fortemente voluto dal direttore dello Stabile etneo Giuseppe Dipasquale – ha ottenuto il patrocino dell’Ambasciata di Spagna e dell’Istituto Cervantes. Dal 10 febbraio all’11 marzo la Sala Musco accoglierà per un mese la produzione dello Stabile etneo, che si annuncia tra i titoli di punta del cartellone 2011-2012 “Donne. L’altra metà del cielo”.
Nei ruoli principali due nomi di spicco come Mimmo Mignemi e Fulvio D’Angelo, affiancati da un cast di qualità che annovera Ester Anzalone,
Giovanni Carta, Cosimo Coltraro, Yvonne Guglielmino, Alessandro Idonea, Margherita Mignemi, Giampaolo Romania, Maria Rita Sgarlato, Aldo Toscano, Manuela Ventura. Carmen Failla firma le musiche, Silvana LoGiudice le coreografie, Franco Buzzanca le luci.
Cervantes inserì il testo in “Otto commedie e otto intermezzi” (Ocho comedias y ocho entremeses, 1615) che include Pedro de Urdemalas, il suo capolavoro teatrale, e appunto l’intermezzo El retablo de las maravillas, il più rimarchevole di questo gruppo di quadri popolareschi,che trovano qui la migliore espressione.
La vicenda stigmatizza tutto un contesto dominato da spietate persecuzioni razziali contro ebrei nati o convertiti (“marrani”), mentre si celebrano processi a fanatica salvaguardia della purezza della razzacristiana. Ne approfittano dueastuti commedianti girovaghi che portano in un borgo rurale il loro “teatrino delle meraviglie”, avvertendo però il pubblico che i “portenti” potranno essere visti solo da chi non abbia una sola goccia di sangue ebreo tra gli ascendenti. La sera della rappresentazione i due imbonitori evocano visioni tanto strabilianti quanto inesistenti. Eppure tutti i presenti – e le autorità più degli altri – temendo di compromettere la propria reputazione, preferiscono
subire l’inganno e fingere stupore ed entusiasmo, cercando addirittura di convincere i più scettici.
L’intera comunità è trascinata in una delirante e grottesca allucinazione di massa, che mette a nudo le tragiche conseguenze del pregiudizio e della rimozione consapevole: ossia scegliere di vedere quello che non c’è e non vedere quello che c’è. Alla vacuità del nulla corrisponde la consistenza delle illusioni, e perfino la ‘reale’ visione finale viene scambiata per una fantasiaprodotta dal “teatrino dellemeraviglie”.
La farsa approda ad un epilogo dalla forte tensione drammatica ed etica, mirata a frenare nello spettatore la coazione a ripetere gli inganni rappresentati in scena, ad evitare che i singoli e la collettività si lascino travolgere dalla quotidiana spirale diconvenzioni sociali, intolleranza, razzismo. Ed è inevitabile cogliere una sorta di nefasta premonizione in un testo, scritto nel 1615, che mette in guardia dall’esasperato antisemitismo, anticipando i problemi di identità e appartenenza etnico-sociale, che avrebbero dilaniatol’Europa nello scorso Secolo Breve.
Se il tema è di grave spessore, El retablo de las maravillas si contraddistingue per la leggerezza insita nella griglia creativa che l’autore ha giudicato adeguata, ossia l’entremés (Intermezzo), praticato da Lope de Ruega a Quinones de Benavente, dal XII al XIX secolo: género chico, intercalato fra il primo e il secondo atto di una commedia, espressione di una brevità strutturale e qualitativa, lontana dalla dilatazione che Cervantes ha riservato al Cavaliere dalla Triste Figura.
NOTE DI REGIA
Vengono, senza una meta, sbandati tutti carichi dei propri effetti-poveri: una coperta, uno scialle, un barracano, ecc. Le loro facce hanno una espressione assente. qualche sbavatura di cerone le rende stranamente simpatiche, malinconiche.
Trascinano lentamente ma con tanto affetto i loro fardelli: valigie, borse, pacchi vari. cose teatrali, esprimono un grande desiderio di apparire e al tempo stesso prendere coscienza dei meccanismi del divertimento. Aspettano chissà cosa-chi. Si sa, in teatro è così, si aspetta – si aspetta, tante volte si aspetta al buio. Il buio evoca immagini, fatti accaduti o in procinto di accadere.
Accordo di chitarra lontano lontano, poi scompare. E loro aspettano ancora. Il vecchio geloso arzillo, il marito beffato, le donne abbindolate, i soldati fanfaroni, l’adultera e il suo amante, le prostitute, i giudici implacabili.
Aspettano. luce. Eccoli! Sono loro, pronti per iniziare un lunghissimo viaggio, pieno ancora di giochi di parole; le stesse metafore lo stesso effetto parodistico; questi caratteri realistici, tratti nobili legati al vissuto, alla quotidianità.Una parola – risponde l’altro, poi una parola ancora e ancora una risposta, e un altro ancora, altri due, le voci si accavallano, si mescolano senza un ordine, tutti travolti in un labirintico turbinio, come se ognuno volesse affermare il proprio pensiero:
Voce: La commedia è finita.
Voce: Ma è finito l’atto, ora tocca a noi! E siamo pronti?
Voce: Profilo aquilino, capelli castani, fronte liscia e spaziosa, naso adunco e proporzionato. Ma l’atto sta per terminare! Fra poco si inizia, tocca a noi.
Riprendono le voci di affermazione e di gioia. Musica.Ognuno cerca una sistemazione alla meglio, un posto dove finisce di acconciarsi, forse indossa qualche elemento di costume. gridano-parlano-sussurrano. una nuova baraonda, ma questa volta di gioia, che finisce appena un attore batte il martello per annunziare l’inizio.
Roberto Laganà Manoli